LA CORTE DEI CONTI Sezione Giurisdizionale per la Campania Il Giudice Unico delle Pensioni Dott. Gaetano Berretta ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al numero 66531 del registro di segreteria, proposto dal sig. Staro Salvatore, nato a Capua il 20 dicembre 1932, domiciliato a Caserta nella Via Settembrini n. 33, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Adinolfi, con domicilio eletto in Napoli, Via Del Parco Margherita n. 34, presso lo studio legale dell'avv. Stefano Caserta, avverso la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lega dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli e avverso l'I.N.P.S., in persona del Presidente pro tempore. Visto l'atto introduttivo del giudizio. Visti gli atti e i documenti contenuti nel fascicolo processuale. Uditi all'udienza del 5 febbraio 2015, alla presenza del segretario d'udienza, dott.ssa Angela Gallo, l'avv. Luigi Adinolfi per la parte ricorrente e l'avv. Nicola Di Ronza, avvocato interno I.N.P.S., per l'amministrazione previdenziale resistente. Premesso che con ricorso proposto avverso la Presidenza del Consiglio dei ministri ed avverso l'I.N.P.S., il sig. Staro Salvatore, magistrato in quiescenza, ha chiesto il riconoscimento del diritto alla percezione del trattamento previdenziale spettante senza tenere in conto le decurtazioni introdotte dall'art. 1, commi 486 e 487 della legge n. 147/2013 (a mente dei quali le pensioni corrisposte da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie sono ridotte, per il triennio 2014 - 2016, in misura pari al 6 per cento per la parte eccedente l'ammontare compreso tra 14 e 20 volte il trattamento minime I.N.P.S., in misura pari al 12 per cento per la parte eccedente l'ammontare compreso tra 20 e 30 volte il trattamento minimo I.N.P.S. e in misura pari al 18 per cento per la parte eccedente l'ammontare superiore a 30 volte il ridetto trattamento minimo I.N.P.S.) e la conseguente condanna delle amministrazioni pubbliche evocate in giudizio alla corresponsione delle somme ingiustamente trattenute, con rivalutazione monetaria ed interessi legali. Il ricorrente ha esposto di essere stato collocato in quiescenza con la qualifica di Presidente di Sezione della Corte dei conti e di aver dapprima subito una decurtazione della pensione per euro 528,77 in applicazione del "contributo" imposto dall'art. 18, comma 22-bis, D.L. n. 98/2011, conv. in legge n. 111/2011 - successivamente dichiarato incostituzionale con sentenza n. 116/2013, emessa dal Giudice delle Leggi a seguito di un ricorso attivato dal medesimo ricorrente davanti a questa Sezione Giurisdizionale - e successivamente di aver subito una nuova decurtazione pari ad euro 734,75 a decorrere dal gennaio 2014 sino al dicembre 2016 in applicazione di un nuovo "contributo di solidarieta'" imposto dall'art. 1, commi 486 e 487 della Legge n. 147/2013. Secondo il ricorrente tale nuovo "contributo" - a cui e' seguita la concreta, decurtazione del trattamento previdenziale dal gennaio 2014 sino alla data di proposizione del ricorso - risulterebbe irragionevole ed ingiusto, dovendosi, ritenere che la norma legislativa che lo ha previsto sia palesemente incostituzionale. Il sig. Staro Salvatore ha conseguentemente sollevato questione di legittimita' costituzionale delle richiamate disposizioni contenute nell'art. 1, commi 486 e 487 della Legge n. 147/2013 ed ha formulato istanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Secondo il ricorrente l'introduzione del nuovo contributo di solidarieta' a carico delle pensioni piu' elevate avrebbe nella sostanza riproposto - attraverso un differente meccanismo tecnico di attuazione - il contributo gia' previsto dall'art. 18, comma 22-bis, D.L. n. 98/2011, conv. in legge n. 111/2011, disposizione dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 116/2013 e sarebbe pertanto affetta dai medesimi vizi di incostituzionalita'. La questione di costituzionalita' e' stata sollevata con riguardo all'asserita violazione degli articoli 2, 3, 24, 36, 41, 42, 53, 97, 100, 101, 108, 111 e 113 della Costituzione. Allo scopo di sostenere la fondatezza del ricorso il sig. Staro ha trascritto nel ricorso i passaggi piu' significativi della sentenza della Corte costituzionale n. 116/2013 ed ha ulteriormente evidenziato quanto segue. A) Con riguardo alla violazione dell'art. 53 Cost. 1) La natura tributaria della disposizione legislativa censurata sarebbe immediatamente riscontrabile analizzandone il contenuto alla luce dei consolidati principi elaborati dal Giudice delle leggi. Premesso che per "legge tributaria" deve intendersi ogni provvedimento legislativo che impone un sacrificio economico individuale attraverso un atto autoritativo ablatorio finalizzato ad alimentare la finanza pubblica e quindi incrementare i mezzi per il fabbisogno finanziario necessario per la copertura delle spese pubbliche, non vi sarebbe alcuna ragione logica e giuridica per escludere che le norme contenute nell'art. 1, commi 486 e 487 della legge n. 147/2013 rientrino pienamente in tale alveo, atteso che il contributo di solidarieta' ha inciso imperativamente su un trattamento pensionistico definitivo, come tale inquadrabile tra i diritti quesiti, senza alcuna possibilita' di deroga o di i negoziazione da parte del pensionato e che la destinazione del prelievo alla fiscalita' generale sarebbe immediatamente riscontrabile sulla base della stessa lettera della norma che definisce il sacrificio imposto al pensionato in termini di "contributo di solidarieta'", in tal modo esplicitando la ratio della sua introduzione, da ritenere correlata al perseguimento di obiettivi di finanza pubblica. La natura tributaria della disposizione sarebbe inoltre confermata sia dall'assenza di sinallagmaticita' nel rapporto giuridico tra l'ente previdenziale che deve operare il prelievo e il pensionato che lo deve subire, sia dalla prevista reiterazione della contribuzione, che si sviluppa dal gennaio 2014 al dicembre 2016. 2) Dalla natura tributaria delle disposizioni censurate emergerebbe, secondo il ricorrente, la palese violazione del principio costituzionale, sancito dall'art. 53 Cost. nel suo raccordo con il fondamentale art. 3 Cost., secondo il quale tutti i soggetti dell'ordinamento devono contribuire alle spese pubbliche in ragione della propria capacita' contributiva. Il Legislatore avrebbe infatti concentrato l'imposizione su un'unica categoria di contribuenti (i pensionati e, in particolare, quelli del pubblico impiego) e lo avrebbe fatto in assenza di giustificazione razionale. Il ricorrente ha dato atto del fatto che la giurisprudenza costituzionale consolidatasi nel corso degli anni ha stabilito che il principio generale dell'universalita' dell'imposizione non puo' significare che le prestazioni imposte debbano gravare - acriticamente su tutte le categorie dei contribuenti sulla base di un parametro di proporzionalita' unico e rigido - ben potendo il Legislatore modulare il sistema tributario in funzione delle differenze insite nella societa' e quindi individuare tipologie di contribuzione differenziate - ma l'articolazione dell'imposizione (da cui possono derivare maggiori o minori aggravi per distinte categorie omogenee di contribuenti) deve essere condotta in funzione del principio di eguaglianza tra tutti i cittadini, allo scopo di assicurare che a situazioni uguali corrispondano regimi impositivi uguali e che a situazioni diverse facciano riscontro trattamenti tributari distinti. Secondo il ricorrente la disposizione legislativa censurata, a fronte di una esigenza generale coinvolgente la generalita' dei cittadini (la c.d. stabilizzazione finanziaria), si sarebbe limitata ad individuare una fascia di contribuenti in relazione ai quali l'esazione concreta risulta agevole (anche per l'identita' soggettiva tra l'autore del prelievo e l'erogatore del trattamento pensionistico) ed avrebbe per contro omesso di considerare, in violazione della logica perequativa ed equitativa, che esistono categorie di soggetti molti piu' abbienti inspiegabilmente sottratti dal contributo di solidarieta'. B) Con riguardo alla violazione degli artt. 2 e 3 Cost. 1) A prescindere dalla ricomprensione delle disposizioni normative censurate tra le "leggi tributarie", risulterebbe comunque violato, secondo il ricorrente, il fondamentale principio costituzionale dell'eguaglianza tra i cittadini. La previsione di un contributo di solidarieta' a carico dei soli pensionati avrebbe infatti determinato una evidente disparita' di trattamento, da cui deriverebbe l'assoluta irragionevolezza dell'operato legislativo. E cio' sia con riguardo al rapporto tra i pensionati gravati dalla contribuzione e la generale platea dei cittadini (sul punto il sig. Staro ha evidenziato che le esigenze di riduzione della spesa pubblica, in funzione delle quali e' stato introdotto il contributo di solidarieta', riguardano tutta la collettivita', con la conseguenza che risulta del tinto irragionevole che un beneficio di cui godranno tutti sia generato da un sacrificio imposto soltanto ad una parte dei cittadini), sia con riguardo al rapporto tra i pensionati pubblici sui quali incidono le norme censurate e i pensionati del settore privato (in particolare i quadri dirigenziali e manageriali), che pur beneficiando di pensioni nettamente superiori sono esclusi dalla contribuzione, sia con riguardo al rapporto tra la platea dei pensionati pubblici, che sarebbero stati distinti tra quelli gravati dall'obbligo contributivo e quelli esenti, in assenza di un parametro oggettivamente verificabile. La violazione dell'art. 3 cost. sarebbe inoltre ravvisabile, secondo la parte ricorrente, anche in relazione all'intervenuta lesione dell'affidamento del cittadino pensionato in ordine ai diritti previdenziali gia' acquisiti in via definitiva all'atto della concessione del trattamento previdenziale, che sarebbero stati lesi da un intervento assolutamente irragionevole, anche e soprattutto in considerazione del mancato vaglio dei numerosi strumenti alternativi a disposizione del Legislatore. 2) Con specifico riguardo all'art. 2 Cost., il ricorrente ha evidenziato che le disposizioni normative colliderebbero con i principi di solidarieta' sociale, politica ed economica fissati dalla norma costituzionale, la quale correla direttamente la necessita' di assicurare la solidarieta' a precisi doveri inderogabili di tutti i consociati, con la conseguenza che nessuno puo' esserne esentato. Circostanza che non si sarebbe verificata con l'introduzione delle norme di cui all'art. 1, commi 486 e 487 della legge n. 147/2013, che avrebbero ingiustificatamente accollato su pochi il disagio (il contributo di solidarieta') e su tutti il beneficio (la riduzione della spesa pubblica). C) Con riguardo agli artt. 42 e 97 Cost. 1) Il ricorrente ha rilevato che qualora non si dovesse riconoscere natura tributaria alla disposizione che ha imposto il contributo di solidarieta', dovrebbe essere comunque riconosciuta la sua natura espropriativa, atteso che l'effetto dell'intervento legislativo consiste nell'ablazione di redditi pensionistici a cui corrispondono diritti gia' cristallizzatisi nella sfera giuridico - patrimoniale dei pensionati. Con conseguente violazione, nel caso di specie, dei principi costituzionali che governano la materia dell'espropriazione per pubblica utilita' (perseguimento del pubblico interesse con il minore aggravio possibile per il privato, rapporto tra ablazione e ristoro del soggetto ablato, partecipazione del soggetto che subisce l'espropriazione nella fase istruttoria del relativo procedimento). Sul punto il ricorrente ha osservato che se e' vero che il contributo di solidarieta' a carico dei pensionati e' stato imposto direttamente dalla legge, cio' nonostante l'effetto sostanziale e' stato quello di determinare l'ablazione di diritti quesiti e che pertanto la norma, nel rivestire forza provvedimentale, avrebbe dovuto comunque attenersi, alla stregua di un provvedimento amministrativo, ai principi dell'imparzialita' e del buon andamento della pubblica amministrazione sanciti dall'art. 97 Cost. Tale raccordo sarebbe mancato nel caso di specie e vizierebbe, anche da questo lato prospettico, il provvedimento normativo censurato. D) Con riguardo agli artt. 41 e 97 Cost. 1) Il sig. Staro Salvatore ha contestato che la evidente irrazionalita' del provvedimento normativo avrebbe determinato una distorsione del principio della libera concorrenza (art. 41 Cost.) e una violazione dei principi di buon andamento, efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), atteso che la concentrazione dell'intervento risanatore della finanza pubblica esclusivamente nell'ambito del pubblico impiego determina obiettivamente uno sbilanciamento, nelle prospettive ed aspettative di carriera dei lavoratori, tra lavoro pubblico e lavoro privato, con la conseguenza che o l'offerta del lavoro pubblico potra' diventare meno competitiva dell'offerta di lavoro privato ovvero sara' necessario colmare con successive iniezioni finanziare la consistenza degli emolumenti salariali del pubblico impiego, con conseguente sterilizzazione degli obiettivi dichiarati dalle stesse disposizioni legislative qui censurate. In conclusione il sig. Staro Salvatore ha insistito per l'accoglimento del ricorso, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Con vittoria delle spese di lite. Sia la Presidenza del Consiglio dei ministri, sia l'I.N.P.S. non si sono costituite in giudizio. All'odierna udienza e' comparso il ricorrente, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Adinolfi, il quale ha concluso in conformita' agli atti depositati in giudizio. E' altresi' comparso, per l'I.N.P.S., l'avv. Nicola Di Ronza; il quale ha dichiarato di costituirsi in giudizio nell'interesse dell'amministrazione previdenziale resistente. Ritenuto che: 1) In primo luogo deve essere evidenziato che sussiste la rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata nel presente giudizio ex art. 23, comma 2, legge n. 87/1953, atteso che il gravame ha "un petitum separato e distinto dalla questione di costituzionalita', sul quale il giudice remittente sia legittimamente chiamato, in ragione della propria competenza, a decidere" (C. Cost., sentenze n. 4 del 2000 e n. 38 del 2009) e che il petitum medesimo concerne l'accertamento del diritto dei ricorrenti a conservare il proprio trattamento pensionistico senza le decurtazioni disposte dalle norme censurate, per cui, trattandosi di disposizioni di diretta ed immediata applicazione, sarebbe impossibile pervenire al riconoscimento di tale diritto, se non attraverso la rimozione della norma attraverso la via della richiesta e correlata declaratoria di illegittimita' costituzionale di tali disposizioni normative. Su questo punto si evidenzia infatti che le norme oggetto di gravame risultano specifiche e puntuali e non consentono opzioni ermeneutiche alternative che consentano di riconoscere - anche sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata - la fondatezza della domanda sulla base dell'assetto normativo fissato dal Legislatore. 2) Il Giudice Unico Ritiene che le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti in relazione alle norme contenute dall'art. 1, comma 486 della legge n. 147/2013 siano non manifestamente infondate con riguardo all'asserita violazione degli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione. 2.1) Attraverso l'introduzione dell'art. 1, comma 486, della legge n. 147/2013 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014) - il Legislatore ha previsto che "A decorrere dal 1° gennaio 2014 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento minimo INPS, e' dovuto un contributo di solidarieta' a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie, pari al 6 per cento della parte eccedente il predetto importo lordo annuo fino all'importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS, nonche' pari al 12 per cento per la parte eccedente l'importo lordo annuo di venti volte il tramammo minimo INPS e al 18 per cento per la parte eccedente l'importo lordo annuo di trenta volte il trattamento minimo INPS. Ai fini dell'applicazione della predetta trattenuta e' preso a riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l'anno considerato. L'INPS, sulla base dei dati che risultano dal casellario centrale dei pensionati, istituito con decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388 e' tenuto a fornire a tutti gli enti interessati i necessari elementi per l'effettuazione della trattenuta del contributo di solidarieta', secondo modalita' proporzionali ai trattamenti erogati. Le somme trattenute vengono acquisite dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie, anche al fine di concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191 del presente articolo". Con il successivo comma 487 e' stato inoltre statuito che "I risparmi derivanti dalle misure di contenimento della spesa adottate, sulla base dei principi di cui al comma 486, dagli organi costituzionali, dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Balzano, nell'esercizio della propria autonomia, anche in riferimento ai vitalizi previsti per coloro che hanno ricoperto finzioni pubbliche elettive, sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere destinati al Fondo di cui al comma 48". Il Giudice Unico dubita, avuto in particolare riguardo alle recenti pronunce della Corte costituzionale n. 223/2012, n. 241/2012 e n. 116/2013, che attraverso l'introduzione del "contributo di solidarieta' a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie" il Legislatore non si sia limitato ad, imporre una prestazione patrimoniale ex art. 23 Cost., ma abbia invero introdotto una disposizione di natura tributaria rilevante ex art. 53 Cost. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale il tributo consiste in un "prelievo coattivo che e' finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacita' contributiva" (sentenza n. 102/2008). La natura tributaria di una disposizione normativa deve essere ritenuta sussistente (cfr. sentenze n. 116/2013, n. 223/2012, n. 141/2009, n. 335/2008, n. 64/2008, n. 334/2006, n. 33/2005) in presenza dei seguenti requisiti: La doverosita' della prestazione imposta; L'assenza di un rapporto sinallagmatico tra le parti del rapporto giuridico; Il collegamento tra la prestazione imposta e la spesa pubblica, in relazione ad un presupposto economicamente rilevante. Al fine di vagliare la riconducibilita' della disposizione contenuta nell'art. 1, comma 486, della legge n. 147/2013 nell'alveo delle norme tributarie e' di immediato ausilio interpretativo il confronto tra essa e la precedente norma contenuta nell'art. 18, comma 22-bis, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011, a mente del quale "In considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' pari al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente i 200.000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento pensionistico complessivo non puo' essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui. Ai predetti importi concorrono anche i trattamenti erogati da forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, ivi comprese quelle di cui al decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 563, al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, nonche' i trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni, ivi compresa la gestione speciale ad esaurimento di cui all'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, nonche' le gestioni di previdenza obbligatorie presso l'INPS per il personale addetto alle imposte di consumo, per il personale dipendente dalle aziende private del gas e per il personale gia' addetto alle esattorie e alle ricevitorie delle imposte dirette. La trattenuta relativa al predetto contributo di perequazione e' applicata, in via preventiva e salvo conguaglio, a conclusione dell'anno di riferimento, all'atto della corresponsione di ciascun rateo mensile. Ai fini dell'applicazione della predetta trattenuta e' preso a riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l'anno considerato. L'INPS, sulla base dei dati che risultano dal casellario centrale dei pensionati, istituito con decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, e successive modificazioni, e' tenuto a fornire a tutti gli enti interessati i necessari i elementi per l'effettuazione della trattenuta del contributo di perequazione, secondo modalita' proporzionali ai trattamenti erogati. Le somme trattenute dagli enti vengono versate, entro il quindicesimo giorno dalla data in cui e' erogato il trattamento su cui e' effettuata la trattenuta, all'entrata del bilancio dello Stato". Come gia' riferito sopra la norma contenuta nell'art. 18, comma 22-bis, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011 e' stata dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. con la sentenza n. 116/2013, la quale ne ha affermato la natura tributaria evidenziando - previo richiamo dei precedenti pronunciamenti n. 223/2012 e n. 241/2012 - che essa integra una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare. Secondo il Giudice Unico la norma censurata in questa sede non si discosta, nella sua conformazione strutturale, dalla norma precedentemente introdotta nel 2011. In entrambi i' casi il Legislatore individua una delimitata platea di soggetti dell'ordinamento (i pensionati che beneficiano di "trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie") e fissa a loro carico un contributo (definito di "perequazione" dalla norma del 2011, di "solidarieta'" dalla norma del 2013 censurata nel presente giudizio) oltre determinate soglie reddituali. L'unica vera differenza tra le due norme riguarda la destinazione delle somme derivanti dalle trattenute. Con la norma del 2011 dichiarata incostituzionale era stato previsto che "Le somme trattenute dagli enti vengono versate, entro il quindicesimo giorno dalla data in cui e' erogato il trattamento su cui e' effettuata la trattenuta, all'entrata del bilancio dello Stato". Con l'art. l, comma 486, della Legge n. 147/2013 e' stato invece previsto che "Le somme trattenute vengono acquisite dalle, competenti gestioni previdenziali obbligatorie, miche al fine di concorrere al, finanziamento degli interventi di cui al comma 191 del presente articolo". Sul punto si rende necessario un approfondimento, atteso che la riformulazione normativa puo' obiettivamente indurre a dubitare che la natura tributaria della disposizione censurata in questa sede sia esclusa per assenza di un collegamento tra la prestazione imposta e la spesa pubblica nel suo complesso - atteso che i proventi derivanti dall'imposizione non vengono destinati ad alimentare direttamente ed indistintamente l'entrata del bilancio statale, ma vengono trattenute dai singoli enti previdenziali che le dispongono - e che pertanto il contributo di solidarieta' non sia destinato alla fiscalita' generale, bensi' ad una redistribuzione finanziaria, in chiave evidentemente solidaristica, all'interno dei limitati ambiti settoriali coincidenti con quelli dei singoli enti che gestiscono la previdenza obbligatoria. Ad avviso di questo Giudice Unico il collegamento tra il contributo di solidarieta' e la fiscalita' generale e' da ritenere sussistente nella fattispecie all'esame e deve essere pertanto confermato il convincimento in ordine alla natura tributaria della norma. Si evidenzia quanto segue. 1) La disposizione contenuta nell'art. 1, comma 486, legge n. 147/2013 si limita a prevedere che le somme trattenute vengano incamerate dagli enti previdenziali, ma non individua alcuna prestazione previdenziale o assistenziale alla quale finalizzare l'incameramento finanziario, che si traduce nella sostanza in un'operazione di pura cassa e che risulta del tutto neutro rispetto alle condizioni di stabilita' finanziaria degli enti percettori. Da questo angolo prospettico l'inciso normativo secondo il quale i risparmi di spesa sono destinati "... anche al fine di concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191 del presente articolo" (la disposizione del comma 191 riguarda specifici interventi in favore dei lavoratori c.d. esodati di cui all'art. 1, comma 231, lett. b, legge n. 228/ 2012) conferma l'assenza di una statuizione puntuale e specifica in ordine alla destinazione delle somme, che potranno essere impiegate a tal fine soltanto in via eventuale (l'utilizzo della congiunzione "anche" comprova risolutivamente, nell'analisi ricostruttiva, l'assenza di un vincolo di destinazione). L'assenza di un riparto solidaristico all'interno del sistema previdenziale e' confermata dal tenore del successivo comma 487 del medesimo art. 1 della legge n. 147/2013, a mente del quale "I risparmi derivanti dalle misure di contenimento della spesa adottate, sulla base dei principi di cui al comma 486, dagli organi costituzionali, dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, nell'esercizio della propria autonomia, anche in riferimento ai vitalizi previsti per coloro che hanno ricoperto funzioni pubbliche elettive, sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere destinati al Fondo di cui al comma 48" (Istituzione del Sistema nazionale di garanzia, che ricomprende svariati fondi e strumenti di garanzia, per le piccole e medie imprese, per l'acquisto della prima casa, etc.). 2) La previsione del contributo di solidarieta' a carico dei trattamenti previdenziali piu' elevati e' collocata sistematicamente nell'ambito della legge di stabilita' per l'anno 2014 e concorre, unitamente agli altri interventi della manovra finanziaria, a stabilizzare il sistema finanziario dell'Italia. Sul punto deve essere evidenziato che sia l'I.N.P.S. (ente formalmente pubblico, la cui tenuta finanziaria e' costantemente assicurata dall'erario statale tramite periodici trasferimenti finanziari), sia gli altri enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria (enti formalmente privatizzati dal d.lgs. n. 509/1994, ma da qualificare sostanzialmente pubblici) sono enti che svolgono servizi di esclusiva rilevanza pubblicistica in attuazione del dettato costituzionale dell'art. 38 e risultano puntualmente inseriti nell'elenco, redatto dall'I.S.T.A.T., delle unita' istituzionali che fanno parte del settore delle Amministrazioni Pubbliche (cfr., sul punto, Cons. Stato, sez. VI, n. 6014/2012), i cui conti concorrono alla costruzione del Conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche rilevante in ambito comunitario (SEC2010). Dall'inserimento degli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria nell'Elenco I.S.T.A.T. deriva inoltre l'applicazione, nei loro confronti, sia delle stringenti disposizioni normative introdotte nel corso degli ultimi anni per il contenimento generale della spesa pubblica, a partire, in particolare, dal D.L. n. 78/2010, convertito dalla legge n. 122/2010, sia delle norme in tema di "spending review" (D.L. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 135/2012). 3) L'analisi dei precedenti giurisprudenziali della Corte costituzionale nella subiecta materia, seppure non connotati da uniformita' ricostruttiva, induce a ritenere che non si debba pervenire a conclusioni diverse. Con la sentenza n. 146/72 il Giudice delle leggi aveva in un primo momento ritenuto infondata la questione di costituzionalita' dell'articolo unico della legge n. 369/1968 (che introduceva un contributo di solidarieta' progressivo a carico delle pensioni superiori a £.7.200.000 allo scopo di apprestare risorse per l'istituzione delle pensioni sociali) e pur evidenziando il carattere tributario del contributo (in ragione della progressivita' delle aliquote e dell'assenza di limiti temporali) aveva ritenuto che il nesso teleologico tra il prelievo e la destinazione specifica dei proventi all'istituzione delle pensioni sociali rendesse la norma immune da censure di costituzionalita'. In un secondo momento (sentenza n. 119/1981), la medesima norma era stata tuttavia ritenuta incostituzionale (per violazione degli artt. 3 e 53 Cost.) limitatamente alla sua applicazione successivamente al 1° Gennaio 1974 (data di attivazione dell'I.R.P.E.F.), atteso che i redditi derivanti da trattamenti previdenziali risultavano ingiustificatamente incisi da un duplice prelievo e colpiti in misura ingiustificatamente maggiore, a parita' di capacita' contributiva, rispetto agli altri redditi, in particolare quelli da lavoro dipendente. Con l'ordinanza n. 22/2003 (confermata dall'ordinanza n. 160/2007) e' stata dichiarata infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37, legge n. 488/1999 - con cui era stato introdotto, con decorrenza l° gennaio 2000 e per un periodo di tre anni, un contributo di solidarieta' del 2% sulle pensioni di importo superiore ad un determinato massimale annuo (£. 132.000.000 ex art. 2, comma 18, legge n. 335/1995) - ed e' stato evidenziato che tale contributo, invero finalizzato ad alimentare specifici Fondi di solidarieta' destinati al sostegno contributivo del lavoro temporaneo e discontinuo (Fondo bilaterale istituito dall'art. 5, comma 2, della legge 24 giugno 1997, n. 196 e Fondo successivamente istituito dall'art. 69, comma 9, legge n. 388/2000), non poteva essere qualificato un tributo rilevante ex art. 53 Cost., bensi' una prestazione patrimoniale imposta ex art. 23 Cost. Sul punto la Corte costituzionale evidenziava che la scelta discrezionale del legislatore "... e' stata operata in attuazione dei principi solidaristici sanciti dall'art. 2 della Costituzione, attraverso l'imposizione di un'ulteriore prestazione patrimoniale gravante solo su alcuni trattamenti previdenziali obbligatori che superino un certo importo stabilito dalla legge, al fine di concorrere al finanziamento dello stesso sistema previdenziale". Con la gia' piu' volte richiamata sentenza n. 116/2013 (che ha analizzato la compatibilita' costituzionale dell'art. 18, comma 22-bis, D.L. n. 98/2011) e' stata per contro accertata la natura tributaria del contributo ivi previsto ed e' stato in particolare evidenziato, (richiamando la precedente sentenza n. 223/2012) che la disposizione "... integra una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare". 4) La natura tributaria della disposizione censurata in questa sede deriva infine, ad avviso del Giudice Unico remittente, dall'analisi sistematica della stretta connessione temporale tra la disposizione contenuta nell'art. 18, comma 22-bis, D.L. 98/2011 e quella di cui all'art. 1, comma 486, legge n. 147/2013. Le due norme prevedono, nella sostanza, una fattispecie del tutto sovrapponibile, la cui ratio e' insita - aldila' della destinazione dei fondi direttamente al bilancio statale ovvero alle casse degli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria - nell'esigenza di stabilizzazione finanziaria della spesa pubblica nel suo complesso, come confermato dalle osservazioni svolte sopra in relazione alla sostanziale fungibilita' tra le somme previste in entrata per effetto della contribuzione e le giacenze finanziarie degli enti (che, si ribadisce, sono incluse tra gli enti pubblici censiti dall'I.S.T.A.T. e le cui gestioni finanziarie sono inserite nel Conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche) e come invero comprovato dall'esame dei lavori preparatori parlamentari, dai quali emerge che la logica ispiratrice dell'intervento normativo risiede essenzialmente in valutazioni di finanza pubblica generale. Il prospetto riepilogativo riferito al testo licenziato definitivamente dal Senato pone infatti in rilievo, non gia' gli effetti della contribuzione sulle dinamiche finanziarie delle diverse gestioni previdenziali ovvero del complessivo sistema previdenziale, ma direttamente le inferenze dell'ablazione patrimoniale sui saldi di finanza pubblica. La ritenuta natura tributaria della contribuzione imposta dall'art. 1, comma 486, legge n. 147/2013 induce il Giudice Unico a dubitare che la disposizione, nell'imporre una prestazione patrimoniale soltanto ad una categoria di cittadini, abbia violato i parametri (di razionalita' e ragionevolezza, rilevanti ex art. 2 e 3 Cost., che devono necessariamente assistere le imposizioni fiscali. In un quadro generale di problematicita' finanziaria lo Stato ha ritenuto, ragionevolmente, di imporre sacrifici ai cittadini, ma le concrete modalita' attraverso le quali si e' dato corso al perseguimento dell'obiettivo hanno ingiustificatamente penalizzato, rispetto alla generale platea dei contribuenti, la categoria dei pensionati, in violazione del principio della "universalita' della imposizione". Con la legge n. 147/2013 il Legislatore - in linea con gli interventi di stabilizzazione finanziaria gia' disposti negli anni precedenti - ha da un lato reiterato, per il triennio 2014 - 2016, un prelievo fiscale del 3% sui redditi superiori ad euro 300.000,00 (art. 1, comma 590, che proroga la disposizione contenuta nell'art. 2, D.L. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011) e dall'altro lato ha riproposto un drastico prelievo sui trattamenti previdenziali eccedenti soglie reddittuali nettamente piu' basse. Secondo l'insegnamento della Corte costituzionale "... la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta' politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)" (sentenza n. 341/2000, richiamata puntualmente dalla sentenza n. 116/2013). Con la conseguenza che "Il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi di cui all'art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. non puo', quindi, che essere ricondotto ad un «giudizio sull'uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione" (sentenza n. 111 del 1997, richiamata puntualmente dalla sentenza n. 116/2013). L'irrazionalita' del diverso e deteriore trattamento tra la platea dei cittadini e la piu' ristretta platea dei pensionati e' stata chiaramente accertata dal Giudice delle leggi nella sentenza n. 116/2013, a mente della quale "... i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell'osservanza dell'art. 53 Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004, n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il perfezionamento della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e contributivi richiesti. A fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessita' di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici: il contributo di solidarieta' si applica su soglie inferiori e con aliquote superiori, mentre per tutti gli altri cittadini la misura e' ai redditi oltre 300.000 euro lordi annui, con un'aliquota del 3 per cento, salva in questo caso la deducibilita' dal reddito". L'irrazionalita' dell'intervento e' stata inoltre rimarcata dal Giudice delle leggi in ragione della natura di retribuzione differita del trattamento, pensionistico "... sicche' il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con piu' evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia' rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu' possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro" (sentenza n. 116/2013). Tanto Premesso, in applicazione dell'art. 23 della Legge costituzionale n. 87/1953, riservata ogni altra decisione all'esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, il Giudice Unico solleva l'incidente di costituzionalita' dell'art. 1, comma 486, legge n. 147/2013 con riferimento agli artt. 2, 3 e 53 Cost. per le ragioni che precedono, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale.