LA CORTE DEI CONTI 
               Sezione Giurisdizionale per la Campania 
 
    Il  Giudice  Unico  delle  Pensioni  Dott.  Gaetano  Berretta  ha
pronunciato la seguente ordinanza  sul  ricorso  iscritto  al  numero
66531 del registro di segreteria, proposto dal sig. Staro  Salvatore,
nato a Capua il 20 dicembre 1932, domiciliato  a  Caserta  nella  Via
Settembrini n. 33, rappresentato e difeso dall'avv.  Luigi  Adinolfi,
con domicilio eletto in Napoli,  Via  Del  Parco  Margherita  n.  34,
presso  lo  studio  legale  dell'avv.  Stefano  Caserta,  avverso  la
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del   legale
rappresentante  pro  tempore,  rappresentata   e   difesa   ex   lega
dall'Avvocatura  Distrettuale  dello  Stato  di  Napoli   e   avverso
l'I.N.P.S., in persona del Presidente pro tempore. 
    Visto l'atto introduttivo del giudizio. 
    Visti gli atti e i documenti contenuti nel fascicolo processuale. 
    Uditi  all'udienza  del  5  febbraio  2015,  alla  presenza   del
segretario d'udienza, dott.ssa Angela Gallo,  l'avv.  Luigi  Adinolfi
per la parte ricorrente e l'avv. Nicola Di  Ronza,  avvocato  interno
I.N.P.S., per l'amministrazione previdenziale resistente. 
    Premesso che con  ricorso  proposto  avverso  la  Presidenza  del
Consiglio  dei  ministri  ed  avverso  l'I.N.P.S.,  il   sig.   Staro
Salvatore, magistrato in quiescenza, ha chiesto il riconoscimento del
diritto alla percezione del trattamento previdenziale spettante senza
tenere in conto le decurtazioni introdotte dall'art. 1, commi  486  e
487  della  legge  n.  147/2013  (a  mente  dei  quali  le   pensioni
corrisposte da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie  sono
ridotte, per il triennio 2014 - 2016, in misura pari al 6  per  cento
per la parte eccedente l'ammontare compreso tra  14  e  20  volte  il
trattamento minime I.N.P.S., in misura pari al 12 per  cento  per  la
parte eccedente l'ammontare compreso tra 20 e 30 volte il trattamento
minimo I.N.P.S. e in misura  pari  al  18  per  cento  per  la  parte
eccedente l'ammontare superiore a 30  volte  il  ridetto  trattamento
minimo I.N.P.S.) e  la  conseguente  condanna  delle  amministrazioni
pubbliche  evocate  in  giudizio  alla  corresponsione  delle   somme
ingiustamente trattenute, con rivalutazione  monetaria  ed  interessi
legali. 
    Il ricorrente ha esposto di essere stato collocato in  quiescenza
con la qualifica di Presidente di Sezione della Corte dei conti e  di
aver dapprima subito una decurtazione della pensione per euro  528,77
in applicazione del "contributo" imposto dall'art. 18, comma  22-bis,
D.L. n.  98/2011,  conv.  in  legge  n.  111/2011  -  successivamente
dichiarato incostituzionale con  sentenza  n.  116/2013,  emessa  dal
Giudice delle Leggi a seguito di un  ricorso  attivato  dal  medesimo
ricorrente   davanti   a   questa   Sezione   Giurisdizionale   -   e
successivamente di aver subito una nuova decurtazione  pari  ad  euro
734,75 a  decorrere  dal  gennaio  2014  sino  al  dicembre  2016  in
applicazione  di  un  nuovo  "contributo  di  solidarieta'"   imposto
dall'art. 1, commi 486 e 487 della Legge n. 147/2013. 
    Secondo il ricorrente tale nuovo "contributo" - a cui e'  seguita
la concreta, decurtazione del trattamento previdenziale  dal  gennaio
2014 sino alla  data  di  proposizione  del  ricorso  -  risulterebbe
irragionevole  ed  ingiusto,  dovendosi,  ritenere   che   la   norma
legislativa che lo ha previsto sia palesemente incostituzionale. 
    Il sig. Staro Salvatore ha conseguentemente  sollevato  questione
di  legittimita'   costituzionale   delle   richiamate   disposizioni
contenute nell'art. 1, commi 486 e 487 della Legge n. 147/2013 ed  ha
formulato istanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Secondo il ricorrente  l'introduzione  del  nuovo  contributo  di
solidarieta' a carico  delle  pensioni  piu'  elevate  avrebbe  nella
sostanza riproposto - attraverso un differente meccanismo tecnico  di
attuazione - il contributo gia' previsto dall'art. 18, comma  22-bis,
D.L. n. 98/2011, conv. in legge n. 111/2011, disposizione  dichiarata
incostituzionale con la  sentenza  n.  116/2013  e  sarebbe  pertanto
affetta dai medesimi vizi di incostituzionalita'. 
    La questione di costituzionalita' e' stata sollevata con riguardo
all'asserita violazione degli articoli 2, 3, 24, 36, 41, 42, 53,  97,
100, 101, 108, 111 e 113 della Costituzione. 
    Allo scopo di sostenere la fondatezza del ricorso il  sig.  Staro
ha  trascritto  nel  ricorso  i  passaggi  piu'  significativi  della
sentenza della Corte costituzionale n. 116/2013 ed  ha  ulteriormente
evidenziato quanto segue. 
A) Con riguardo alla violazione dell'art. 53 Cost. 
    1) La natura tributaria della disposizione legislativa  censurata
sarebbe immediatamente riscontrabile analizzandone il contenuto  alla
luce dei consolidati principi  elaborati  dal  Giudice  delle  leggi.
Premesso  che   per   "legge   tributaria"   deve   intendersi   ogni
provvedimento  legislativo  che  impone   un   sacrificio   economico
individuale attraverso un atto autoritativo ablatorio finalizzato  ad
alimentare la finanza pubblica e quindi incrementare i mezzi  per  il
fabbisogno  finanziario  necessario  per  la  copertura  delle  spese
pubbliche, non vi sarebbe  alcuna  ragione  logica  e  giuridica  per
escludere che le norme contenute nell'art. 1, commi 486 e  487  della
legge n. 147/2013 rientrino pienamente in tale alveo, atteso  che  il
contributo  di  solidarieta'  ha   inciso   imperativamente   su   un
trattamento pensionistico definitivo, come tale  inquadrabile  tra  i
diritti  quesiti,  senza  alcuna  possibilita'  di  deroga  o  di   i
negoziazione da parte  del  pensionato  e  che  la  destinazione  del
prelievo   alla   fiscalita'    generale    sarebbe    immediatamente
riscontrabile  sulla  base  della  stessa  lettera  della  norma  che
definisce  il  sacrificio  imposto  al  pensionato  in   termini   di
"contributo di solidarieta'", in tal modo esplicitando la ratio della
sua introduzione, da ritenere correlata al perseguimento di obiettivi
di finanza pubblica. 
    La  natura  tributaria   della   disposizione   sarebbe   inoltre
confermata  sia  dall'assenza  di  sinallagmaticita'   nel   rapporto
giuridico tra l'ente previdenziale che deve operare il prelievo e  il
pensionato che lo deve subire, sia dalla prevista reiterazione  della
contribuzione, che si sviluppa dal gennaio 2014 al dicembre 2016. 
    2)  Dalla  natura   tributaria   delle   disposizioni   censurate
emergerebbe,  secondo  il  ricorrente,  la  palese   violazione   del
principio costituzionale, sancito dall'art. 53 Cost. nel suo raccordo
con il fondamentale art. 3 Cost., secondo il quale tutti  i  soggetti
dell'ordinamento devono contribuire alle spese pubbliche  in  ragione
della propria capacita' contributiva. Il Legislatore avrebbe  infatti
concentrato l'imposizione su un'unica categoria  di  contribuenti  (i
pensionati e, in particolare,  quelli  del  pubblico  impiego)  e  lo
avrebbe fatto in assenza di giustificazione razionale. 
    Il ricorrente ha  dato  atto  del  fatto  che  la  giurisprudenza
costituzionale consolidatasi nel corso degli anni ha stabilito che il
principio  generale  dell'universalita'  dell'imposizione  non   puo'
significare  che   le   prestazioni   imposte   debbano   gravare   -
acriticamente su tutte le categorie dei contribuenti sulla base di un
parametro di  proporzionalita'  unico  e  rigido  -  ben  potendo  il
Legislatore  modulare  il  sistema  tributario  in   funzione   delle
differenze insite nella societa' e quindi  individuare  tipologie  di
contribuzione differenziate - ma l'articolazione dell'imposizione (da
cui possono derivare maggiori o minori aggravi per distinte categorie
omogenee di  contribuenti)  deve  essere  condotta  in  funzione  del
principio di  eguaglianza  tra  tutti  i  cittadini,  allo  scopo  di
assicurare che a situazioni uguali  corrispondano  regimi  impositivi
uguali e che a  situazioni  diverse  facciano  riscontro  trattamenti
tributari distinti. 
    Secondo il ricorrente la disposizione  legislativa  censurata,  a
fronte di una  esigenza  generale  coinvolgente  la  generalita'  dei
cittadini (la c.d. stabilizzazione finanziaria), si sarebbe  limitata
ad individuare una fascia  di  contribuenti  in  relazione  ai  quali
l'esazione concreta risulta agevole (anche per l'identita' soggettiva
tra   l'autore   del   prelievo   e   l'erogatore   del   trattamento
pensionistico) ed  avrebbe  per  contro  omesso  di  considerare,  in
violazione della  logica  perequativa  ed  equitativa,  che  esistono
categorie di soggetti molti piu' abbienti inspiegabilmente  sottratti
dal contributo di solidarieta'. 
B) Con riguardo alla violazione degli artt. 2 e 3 Cost. 
    1)  A  prescindere  dalla   ricomprensione   delle   disposizioni
normative censurate tra le "leggi tributarie", risulterebbe  comunque
violato,   secondo   il   ricorrente,   il   fondamentale   principio
costituzionale dell'eguaglianza tra i cittadini. La previsione di  un
contributo di solidarieta'  a  carico  dei  soli  pensionati  avrebbe
infatti determinato una evidente disparita' di  trattamento,  da  cui
deriverebbe l'assoluta irragionevolezza dell'operato  legislativo.  E
cio' sia con riguardo al rapporto  tra  i  pensionati  gravati  dalla
contribuzione e la generale platea dei cittadini (sul punto  il  sig.
Staro ha  evidenziato  che  le  esigenze  di  riduzione  della  spesa
pubblica, in funzione delle quali e' stato introdotto  il  contributo
di  solidarieta',  riguardano  tutta   la   collettivita',   con   la
conseguenza che risulta del tinto irragionevole che un  beneficio  di
cui godranno tutti sia generato da un sacrificio imposto soltanto  ad
una parte  dei  cittadini),  sia  con  riguardo  al  rapporto  tra  i
pensionati pubblici  sui  quali  incidono  le  norme  censurate  e  i
pensionati del settore privato (in particolare i quadri  dirigenziali
e manageriali), che pur beneficiando di pensioni nettamente superiori
sono esclusi dalla contribuzione, sia con riguardo al rapporto tra la
platea dei pensionati pubblici,  che  sarebbero  stati  distinti  tra
quelli gravati dall'obbligo contributivo e quelli esenti, in  assenza
di un parametro oggettivamente verificabile. 
    La violazione dell'art.  3  cost.  sarebbe  inoltre  ravvisabile,
secondo la  parte  ricorrente,  anche  in  relazione  all'intervenuta
lesione  dell'affidamento  del  cittadino  pensionato  in  ordine  ai
diritti previdenziali gia' acquisiti in via definitiva all'atto della
concessione del trattamento previdenziale, che sarebbero  stati  lesi
da un intervento assolutamente irragionevole, anche e soprattutto  in
considerazione del mancato vaglio dei numerosi strumenti  alternativi
a disposizione del Legislatore. 
    2) Con specifico riguardo all'art.  2  Cost.,  il  ricorrente  ha
evidenziato  che  le  disposizioni  normative  colliderebbero  con  i
principi di solidarieta' sociale, politica ed economica fissati dalla
norma costituzionale, la quale correla direttamente la necessita'  di
assicurare la solidarieta' a precisi doveri inderogabili di  tutti  i
consociati, con la conseguenza che  nessuno  puo'  esserne  esentato.
Circostanza che non si sarebbe verificata  con  l'introduzione  delle
norme di cui all'art. 1, commi 486 e 487 della legge n. 147/2013, che
avrebbero ingiustificatamente  accollato  su  pochi  il  disagio  (il
contributo di solidarieta') e su tutti  il  beneficio  (la  riduzione
della spesa pubblica). 
C) Con riguardo agli artt. 42 e 97 Cost. 
    1)  Il  ricorrente  ha  rilevato  che  qualora  non  si   dovesse
riconoscere natura tributaria alla disposizione  che  ha  imposto  il
contributo di solidarieta', dovrebbe essere comunque riconosciuta  la
sua  natura  espropriativa,  atteso  che  l'effetto   dell'intervento
legislativo consiste nell'ablazione di redditi  pensionistici  a  cui
corrispondono diritti gia' cristallizzatisi nella sfera  giuridico  -
patrimoniale dei pensionati. Con conseguente violazione, nel caso  di
specie,  dei  principi  costituzionali  che  governano   la   materia
dell'espropriazione per pubblica utilita' (perseguimento del pubblico
interesse con il minore aggravio possibile per il  privato,  rapporto
tra ablazione e  ristoro  del  soggetto  ablato,  partecipazione  del
soggetto che subisce  l'espropriazione  nella  fase  istruttoria  del
relativo procedimento). Sul punto il ricorrente ha osservato  che  se
e' vero che il contributo di solidarieta' a carico dei pensionati  e'
stato imposto direttamente dalla  legge,  cio'  nonostante  l'effetto
sostanziale e' stato quello di  determinare  l'ablazione  di  diritti
quesiti e che pertanto la norma, nel rivestire forza provvedimentale,
avrebbe dovuto comunque attenersi, alla stregua di  un  provvedimento
amministrativo, ai principi dell'imparzialita' e del  buon  andamento
della  pubblica  amministrazione  sanciti  dall'art.  97  Cost.  Tale
raccordo sarebbe mancato nel caso di specie e  vizierebbe,  anche  da
questo lato prospettico, il provvedimento normativo censurato. 
D) Con riguardo agli artt. 41 e 97 Cost. 
    1)  Il  sig.  Staro  Salvatore  ha  contestato  che  la  evidente
irrazionalita' del provvedimento normativo  avrebbe  determinato  una
distorsione del principio della libera concorrenza (art. 41 Cost.)  e
una  violazione  dei  principi  di  buon  andamento,  efficienza   ed
efficacia dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), atteso  che  la
concentrazione  dell'intervento  risanatore  della  finanza  pubblica
esclusivamente   nell'ambito   del   pubblico    impiego    determina
obiettivamente uno sbilanciamento, nelle prospettive  ed  aspettative
di carriera dei lavoratori, tra lavoro pubblico e lavoro privato, con
la conseguenza che o l'offerta del lavoro pubblico  potra'  diventare
meno  competitiva  dell'offerta  di  lavoro  privato   ovvero   sara'
necessario colmare con successive iniezioni finanziare la consistenza
degli emolumenti salariali  del  pubblico  impiego,  con  conseguente
sterilizzazione degli obiettivi dichiarati dalle stesse  disposizioni
legislative qui censurate. 
    In  conclusione  il  sig.  Staro  Salvatore  ha   insistito   per
l'accoglimento del ricorso, previa rimessione degli atti  alla  Corte
costituzionale. Con vittoria delle spese di lite. 
    Sia la Presidenza del Consiglio dei ministri, sia l'I.N.P.S.  non
si sono costituite in giudizio. 
    All'odierna udienza e' comparso il  ricorrente,  rappresentato  e
difeso dall'avv. Luigi Adinolfi, il quale ha concluso in  conformita'
agli  atti  depositati  in  giudizio.  E'  altresi'   comparso,   per
l'I.N.P.S., l'avv.  Nicola  Di  Ronza;  il  quale  ha  dichiarato  di
costituirsi   in   giudizio    nell'interesse    dell'amministrazione
previdenziale resistente. 
    Ritenuto che: 
        1) In primo luogo deve essere  evidenziato  che  sussiste  la
rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata nel presente
giudizio ex art. 23, comma 2, legge n. 87/1953, atteso che il gravame
ha   "un   petitum   separato   e   distinto   dalla   questione   di
costituzionalita', sul quale il giudice remittente sia legittimamente
chiamato, in ragione della propria competenza, a decidere" (C. Cost.,
sentenze n. 4 del 2000 e n. 38 del 2009) e che  il  petitum  medesimo
concerne l'accertamento del diritto dei ricorrenti  a  conservare  il
proprio trattamento  pensionistico  senza  le  decurtazioni  disposte
dalle norme  censurate,  per  cui,  trattandosi  di  disposizioni  di
diretta ed immediata applicazione, sarebbe impossibile  pervenire  al
riconoscimento di tale diritto, se non attraverso la rimozione  della
norma attraverso la via della richiesta e correlata  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale  di  tali  disposizioni  normative.  Su
questo punto si evidenzia infatti che le  norme  oggetto  di  gravame
risultano specifiche e puntuali e non consentono opzioni ermeneutiche
alternative che consentano di  riconoscere  -  anche  sulla  base  di
un'interpretazione costituzionalmente orientata - la fondatezza della
domanda sulla base dell'assetto normativo fissato dal Legislatore. 
        2) Il Giudice Unico Ritiene che le questioni di  legittimita'
costituzionale sollevate  dai  ricorrenti  in  relazione  alle  norme
contenute dall'art. 1, comma 486 della legge n.  147/2013  siano  non
manifestamente infondate con riguardo all'asserita  violazione  degli
artt. 2, 3 e 53 della Costituzione. 
        2.1) Attraverso l'introduzione dell'art. 1, comma 486,  della
legge n. 147/2013 -  Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di  stabilita'  2014)  -  il
Legislatore ha previsto che "A decorrere dal 1° gennaio 2014 e per un
periodo di tre anni,  sugli  importi  dei  trattamenti  pensionistici
corrisposti da enti  gestori  di  forme  di  previdenza  obbligatorie
complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento  minimo
INPS, e' dovuto un contributo di solidarieta' a favore delle gestioni
previdenziali obbligatorie, pari al 6 per cento della parte eccedente
il predetto importo lordo annuo fino all'importo lordo annuo di venti
volte il trattamento minimo INPS, nonche' pari al 12 per cento per la
parte eccedente l'importo lordo annuo  di  venti  volte  il  tramammo
minimo INPS e al 18 per cento per la parte eccedente l'importo  lordo
annuo  di  trenta  volte  il  trattamento  minimo   INPS.   Ai   fini
dell'applicazione della predetta trattenuta e' preso a riferimento il
trattamento pensionistico complessivo lordo per  l'anno  considerato.
L'INPS, sulla base dei dati che risultano dal casellario centrale dei
pensionati, istituito con decreto del Presidente della Repubblica  31
dicembre 1971,  n.  1388  e'  tenuto  a  fornire  a  tutti  gli  enti
interessati i necessari elementi per l'effettuazione della trattenuta
del contributo di solidarieta', secondo  modalita'  proporzionali  ai
trattamenti erogati. Le  somme  trattenute  vengono  acquisite  dalle
competenti gestioni previdenziali  obbligatorie,  anche  al  fine  di
concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191  del
presente articolo". 
    Con il successivo comma 487 e'  stato  inoltre  statuito  che  "I
risparmi derivanti dalle misure di contenimento della spesa adottate,
sulla  base  dei  principi  di  cui  al  comma  486,   dagli   organi
costituzionali, dalle regioni e dalle province autonome di  Trento  e
di  Balzano,  nell'esercizio  della  propria  autonomia,   anche   in
riferimento ai vitalizi  previsti  per  coloro  che  hanno  ricoperto
finzioni pubbliche elettive, sono versati  all'entrata  del  bilancio
dello Stato per essere destinati al Fondo di cui al comma 48". 
    Il Giudice Unico  dubita,  avuto  in  particolare  riguardo  alle
recenti pronunce della Corte costituzionale n. 223/2012, n.  241/2012
e n. 116/2013,  che  attraverso  l'introduzione  del  "contributo  di
solidarieta' a favore delle gestioni previdenziali  obbligatorie"  il
Legislatore  non  si  sia  limitato  ad,  imporre   una   prestazione
patrimoniale ex  art.  23  Cost.,  ma  abbia  invero  introdotto  una
disposizione di natura tributaria rilevante ex art. 53 Cost. 
    Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte  costituzionale
il tributo consiste in un "prelievo coattivo che  e'  finalizzato  al
concorso alle pubbliche spese ed e' posto a  carico  di  un  soggetto
passivo in base ad uno specifico indice  di  capacita'  contributiva"
(sentenza n. 102/2008). La  natura  tributaria  di  una  disposizione
normativa  deve  essere  ritenuta  sussistente  (cfr.   sentenze   n.
116/2013, n. 223/2012, n.  141/2009,  n.  335/2008,  n.  64/2008,  n.
334/2006, n. 33/2005) in presenza dei seguenti requisiti: 
        La doverosita' della prestazione imposta; 
        L'assenza di un rapporto  sinallagmatico  tra  le  parti  del
rapporto giuridico; 
        Il  collegamento  tra  la  prestazione  imposta  e  la  spesa
pubblica, in relazione ad un presupposto economicamente rilevante. 
    Al  fine  di  vagliare  la  riconducibilita'  della  disposizione
contenuta nell'art. 1, comma 486, della legge n. 147/2013  nell'alveo
delle norme tributarie e'  di  immediato  ausilio  interpretativo  il
confronto tra essa e la  precedente  norma  contenuta  nell'art.  18,
comma 22-bis, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n.  111/2011,
a mente del  quale  "In  considerazione  della  eccezionalita'  della
situazione economica internazionale e  tenuto  conto  delle  esigenze
prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica,  a
decorrere  dal  1°  agosto  2011  e  fino  al  31  dicembre  2014,  i
trattamenti pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di
previdenza obbligatorie,  i  cui  importi  complessivamente  superino
90.000 euro lordi  annui,  sono  assoggettati  ad  un  contributo  di
perequazione pari al 5 per cento della parte  eccedente  il  predetto
importo fino a 150.000 euro, nonche' pari al  10  per  cento  per  la
parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente
i 200.000 euro; a seguito della  predetta  riduzione  il  trattamento
pensionistico complessivo non puo' essere comunque inferiore a 90.000
euro lordi annui. Ai predetti importi concorrono anche i  trattamenti
erogati da forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite
in  aggiunta  o  ad  integrazione   del   trattamento   pensionistico
obbligatorio, ivi comprese quelle di cui al  decreto  legislativo  16
settembre 1996, n. 563, al decreto legislativo 20 novembre  1990,  n.
357, al decreto legislativo  5  dicembre  2005,  n.  252,  nonche'  i
trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti  delle
regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla  legge  20  marzo
1975, n. 70, e successive modificazioni,  ivi  compresa  la  gestione
speciale ad esaurimento  di  cui  all'articolo  75  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 20 dicembre  1979,  n.  761,  nonche'  le
gestioni di previdenza obbligatorie presso l'INPS  per  il  personale
addetto alle imposte di consumo, per il  personale  dipendente  dalle
aziende private  del  gas  e  per  il  personale  gia'  addetto  alle
esattorie e alle ricevitorie delle  imposte  dirette.  La  trattenuta
relativa al predetto contributo di perequazione e' applicata, in  via
preventiva  e  salvo   conguaglio,   a   conclusione   dell'anno   di
riferimento, all'atto della corresponsione di ciascun rateo  mensile.
Ai fini  dell'applicazione  della  predetta  trattenuta  e'  preso  a
riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l'anno
considerato. L'INPS, sulla base dei dati che risultano dal casellario
centrale dei pensionati, istituito con decreto del  Presidente  della
Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, e successive modificazioni,  e'
tenuto a fornire a tutti gli enti interessati i necessari i  elementi
per l'effettuazione della trattenuta del contributo di  perequazione,
secondo modalita' proporzionali  ai  trattamenti  erogati.  Le  somme
trattenute dagli enti vengono versate, entro il  quindicesimo  giorno
dalla data in cui e' erogato il trattamento su cui e'  effettuata  la
trattenuta, all'entrata del bilancio dello Stato". 
    Come gia' riferito sopra la norma contenuta nell'art.  18,  comma
22-bis, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, conv.  in  legge  n.  111/2011  e'
stata dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione  degli
artt. 3 e 53 Cost. con la  sentenza  n.  116/2013,  la  quale  ne  ha
affermato la natura tributaria evidenziando  -  previo  richiamo  dei
precedenti pronunciamenti n.  223/2012  e  n.  241/2012  -  che  essa
integra una  decurtazione  patrimoniale  definitiva  del  trattamento
pensionistico, con acquisizione  al  bilancio  statale  del  relativo
ammontare. 
    Secondo il Giudice Unico la norma censurata in questa sede non si
discosta,  nella   sua   conformazione   strutturale,   dalla   norma
precedentemente  introdotta  nel  2011.  In  entrambi  i'   casi   il
Legislatore   individua   una   delimitata   platea    di    soggetti
dell'ordinamento  (i  pensionati  che  beneficiano  di   "trattamenti
pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di  previdenza
obbligatorie") e fissa a  loro  carico  un  contributo  (definito  di
"perequazione" dalla norma del 2011, di  "solidarieta'"  dalla  norma
del 2013 censurata nel presente giudizio)  oltre  determinate  soglie
reddituali. 
    L'unica vera differenza tra le due norme riguarda la destinazione
delle somme  derivanti  dalle  trattenute.  Con  la  norma  del  2011
dichiarata  incostituzionale  era  stato  previsto  che   "Le   somme
trattenute dagli enti vengono versate, entro il  quindicesimo  giorno
dalla data in cui e' erogato il trattamento su cui e'  effettuata  la
trattenuta, all'entrata del bilancio dello Stato". 
    Con l'art. l, comma 486, della Legge n. 147/2013 e' stato  invece
previsto che "Le somme trattenute vengono acquisite dalle, competenti
gestioni previdenziali obbligatorie, miche al fine di concorrere  al,
finanziamento degli interventi di  cui  al  comma  191  del  presente
articolo". 
    Sul punto si rende necessario un approfondimento, atteso  che  la
riformulazione normativa puo' obiettivamente indurre a  dubitare  che
la natura tributaria della disposizione censurata in questa sede  sia
esclusa per assenza di un collegamento tra la prestazione  imposta  e
la spesa pubblica nel suo complesso - atteso che i proventi derivanti
dall'imposizione non vengono destinati ad alimentare direttamente  ed
indistintamente l'entrata del bilancio statale, ma vengono trattenute
dai singoli enti previdenziali che le dispongono - e che pertanto  il
contributo  di  solidarieta'  non  sia  destinato   alla   fiscalita'
generale,  bensi'  ad  una  redistribuzione  finanziaria,  in  chiave
evidentemente  solidaristica,   all'interno   dei   limitati   ambiti
settoriali coincidenti con quelli dei singoli enti che gestiscono  la
previdenza obbligatoria. 
    Ad  avviso  di  questo  Giudice  Unico  il  collegamento  tra  il
contributo di solidarieta' e la fiscalita' generale  e'  da  ritenere
sussistente  nella  fattispecie  all'esame  e  deve  essere  pertanto
confermato il convincimento in ordine alla  natura  tributaria  della
norma. 
    Si evidenzia quanto segue. 
    1) La disposizione contenuta nell'art. 1,  comma  486,  legge  n.
147/2013 si limita  a  prevedere  che  le  somme  trattenute  vengano
incamerate  dagli  enti  previdenziali,  ma  non   individua   alcuna
prestazione previdenziale  o  assistenziale  alla  quale  finalizzare
l'incameramento  finanziario,  che  si  traduce  nella  sostanza   in
un'operazione di pura cassa e che risulta del tutto  neutro  rispetto
alle condizioni di stabilita' finanziaria degli enti  percettori.  Da
questo angolo prospettico  l'inciso  normativo  secondo  il  quale  i
risparmi di spesa sono destinati "... anche al fine di concorrere  al
finanziamento degli interventi di  cui  al  comma  191  del  presente
articolo"  (la  disposizione  del  comma   191   riguarda   specifici
interventi in favore dei lavoratori c.d. esodati di cui  all'art.  1,
comma 231, lett. b, legge n. 228/ 2012)  conferma  l'assenza  di  una
statuizione puntuale e specifica in ordine  alla  destinazione  delle
somme, che potranno essere impiegate  a  tal  fine  soltanto  in  via
eventuale   (l'utilizzo   della   congiunzione    "anche"    comprova
risolutivamente, nell'analisi ricostruttiva, l'assenza di un  vincolo
di destinazione). 
    L'assenza di un riparto  solidaristico  all'interno  del  sistema
previdenziale e' confermata dal tenore del successivo comma  487  del
medesimo art. 1 della  legge  n.  147/2013,  a  mente  del  quale  "I
risparmi derivanti dalle misure di contenimento della spesa adottate,
sulla  base  dei  principi  di  cui  al  comma  486,   dagli   organi
costituzionali, dalle regioni e dalle province autonome di  Trento  e
di  Bolzano,  nell'esercizio  della  propria  autonomia,   anche   in
riferimento ai vitalizi  previsti  per  coloro  che  hanno  ricoperto
funzioni pubbliche elettive, sono versati  all'entrata  del  bilancio
dello Stato per essere  destinati  al  Fondo  di  cui  al  comma  48"
(Istituzione del  Sistema  nazionale  di  garanzia,  che  ricomprende
svariati fondi e strumenti  di  garanzia,  per  le  piccole  e  medie
imprese, per l'acquisto della prima casa, etc.). 
    2) La previsione del contributo  di  solidarieta'  a  carico  dei
trattamenti previdenziali piu' elevati e' collocata  sistematicamente
nell'ambito della legge di stabilita' per  l'anno  2014  e  concorre,
unitamente  agli  altri  interventi  della  manovra  finanziaria,   a
stabilizzare il  sistema  finanziario  dell'Italia.  Sul  punto  deve
essere evidenziato che sia l'I.N.P.S. (ente formalmente pubblico,  la
cui  tenuta  finanziaria  e'  costantemente  assicurata   dall'erario
statale tramite periodici trasferimenti finanziari),  sia  gli  altri
enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria (enti formalmente
privatizzati   dal   d.lgs.   n.   509/1994,   ma   da    qualificare
sostanzialmente pubblici) sono enti che svolgono servizi di esclusiva
rilevanza pubblicistica  in  attuazione  del  dettato  costituzionale
dell'art. 38 e risultano puntualmente inseriti  nell'elenco,  redatto
dall'I.S.T.A.T., delle  unita'  istituzionali  che  fanno  parte  del
settore delle  Amministrazioni  Pubbliche  (cfr.,  sul  punto,  Cons.
Stato,  sez.  VI,  n.  6014/2012),  i  cui  conti   concorrono   alla
costruzione del Conto  economico  consolidato  delle  Amministrazioni
Pubbliche rilevante in ambito comunitario (SEC2010). Dall'inserimento
degli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria nell'Elenco
I.S.T.A.T. deriva inoltre l'applicazione,  nei  loro  confronti,  sia
delle stringenti disposizioni normative introdotte  nel  corso  degli
ultimi anni per il contenimento  generale  della  spesa  pubblica,  a
partire, in particolare, dal D.L. n. 78/2010, convertito dalla  legge
n. 122/2010, sia delle norme in tema di "spending  review"  (D.L.  n.
95/2012, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 135/2012). 
    3)  L'analisi  dei  precedenti  giurisprudenziali   della   Corte
costituzionale nella  subiecta  materia,  seppure  non  connotati  da
uniformita'  ricostruttiva,  induce  a  ritenere  che  non  si  debba
pervenire a conclusioni diverse. 
    Con la sentenza n. 146/72 il Giudice  delle  leggi  aveva  in  un
primo momento ritenuto infondata la  questione  di  costituzionalita'
dell'articolo unico della  legge  n.  369/1968  (che  introduceva  un
contributo  di  solidarieta'  progressivo  a  carico  delle  pensioni
superiori  a  £.7.200.000  allo  scopo  di  apprestare  risorse   per
l'istituzione delle pensioni sociali) e pur evidenziando il carattere
tributario del contributo  (in  ragione  della  progressivita'  delle
aliquote e dell'assenza di limiti temporali) aveva  ritenuto  che  il
nesso teleologico tra il prelievo e  la  destinazione  specifica  dei
proventi all'istituzione delle pensioni  sociali  rendesse  la  norma
immune  da  censure  di  costituzionalita'.  In  un  secondo  momento
(sentenza n. 119/1981), la medesima norma era stata tuttavia ritenuta
incostituzionale  (per  violazione  degli  artt.  3   e   53   Cost.)
limitatamente alla sua applicazione  successivamente  al  1°  Gennaio
1974 (data di attivazione  dell'I.R.P.E.F.),  atteso  che  i  redditi
derivanti     da      trattamenti      previdenziali      risultavano
ingiustificatamente incisi da un duplice prelievo e colpiti in misura
ingiustificatamente maggiore, a parita'  di  capacita'  contributiva,
rispetto  agli  altri  redditi,  in  particolare  quelli  da   lavoro
dipendente. 
    Con  l'ordinanza  n.  22/2003   (confermata   dall'ordinanza   n.
160/2007) e' stata dichiarata infondata la questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 37, legge n. 488/1999 - con  cui  era  stato
introdotto, con decorrenza l° gennaio 2000 e per un  periodo  di  tre
anni, un contributo di solidarieta' del 2% sulle pensioni di  importo
superiore ad un determinato massimale annuo (£. 132.000.000  ex  art.
2, comma 18, legge n. 335/1995) - ed e' stato  evidenziato  che  tale
contributo, invero  finalizzato  ad  alimentare  specifici  Fondi  di
solidarieta' destinati al sostegno contributivo del lavoro temporaneo
e discontinuo (Fondo bilaterale istituito dall'art. 5, comma 2, della
legge 24 giugno  1997,  n.  196  e  Fondo  successivamente  istituito
dall'art.  69,  comma  9,  legge  n.  388/2000),  non  poteva  essere
qualificato un  tributo  rilevante  ex  art.  53  Cost.,  bensi'  una
prestazione patrimoniale imposta ex art. 23 Cost. Sul punto la  Corte
costituzionale  evidenziava   che   la   scelta   discrezionale   del
legislatore  "...  e'  stata  operata  in  attuazione  dei   principi
solidaristici sanciti  dall'art.  2  della  Costituzione,  attraverso
l'imposizione di un'ulteriore prestazione patrimoniale gravante  solo
su alcuni trattamenti previdenziali obbligatori che superino un certo
importo stabilito dalla legge, al fine di concorrere al finanziamento
dello stesso sistema previdenziale". 
    Con la gia' piu' volte richiamata sentenza n.  116/2013  (che  ha
analizzato  la  compatibilita'  costituzionale  dell'art.  18,  comma
22-bis, D.L. n. 98/2011) e' stata  per  contro  accertata  la  natura
tributaria del contributo ivi previsto ed  e'  stato  in  particolare
evidenziato, (richiamando la precedente sentenza n. 223/2012) che  la
disposizione "... integra una  decurtazione  patrimoniale  definitiva
del trattamento pensionistico, con acquisizione al  bilancio  statale
del relativo ammontare". 
    4) La natura tributaria della disposizione  censurata  in  questa
sede  deriva  infine,  ad  avviso  del  Giudice   Unico   remittente,
dall'analisi sistematica della stretta connessione temporale  tra  la
disposizione contenuta nell'art. 18, comma  22-bis,  D.L.  98/2011  e
quella di cui all'art. 1, comma 486, legge n. 147/2013. Le due  norme
prevedono, nella sostanza, una fattispecie del tutto  sovrapponibile,
la cui ratio  e'  insita  -  aldila'  della  destinazione  dei  fondi
direttamente al bilancio statale ovvero alle casse degli enti gestori
delle  forme  di   previdenza   obbligatoria   -   nell'esigenza   di
stabilizzazione finanziaria della spesa pubblica nel  suo  complesso,
come confermato dalle osservazioni svolte  sopra  in  relazione  alla
sostanziale fungibilita' tra le somme previste in entrata per effetto
della contribuzione e le giacenze finanziarie  degli  enti  (che,  si
ribadisce, sono incluse tra gli enti pubblici censiti dall'I.S.T.A.T.
e le cui gestioni  finanziarie  sono  inserite  nel  Conto  economico
consolidato delle Amministrazioni Pubbliche) e come invero comprovato
dall'esame dei lavori preparatori parlamentari, dai quali emerge  che
la   logica    ispiratrice    dell'intervento    normativo    risiede
essenzialmente  in  valutazioni  di  finanza  pubblica  generale.  Il
prospetto riepilogativo riferito al testo licenziato  definitivamente
dal Senato pone infatti  in  rilievo,  non  gia'  gli  effetti  della
contribuzione sulle  dinamiche  finanziarie  delle  diverse  gestioni
previdenziali  ovvero  del  complessivo  sistema  previdenziale,   ma
direttamente le inferenze dell'ablazione patrimoniale  sui  saldi  di
finanza pubblica. 
    La  ritenuta  natura  tributaria  della   contribuzione   imposta
dall'art. 1, comma 486, legge n. 147/2013 induce il Giudice  Unico  a
dubitare  che   la   disposizione,   nell'imporre   una   prestazione
patrimoniale soltanto ad una categoria di cittadini, abbia violato  i
parametri (di razionalita' e ragionevolezza, rilevanti ex art. 2 e  3
Cost., che devono necessariamente assistere le imposizioni fiscali. 
    In un quadro generale di problematicita' finanziaria lo Stato  ha
ritenuto, ragionevolmente, di imporre sacrifici ai cittadini,  ma  le
concrete  modalita'  attraverso  le  quali  si  e'  dato   corso   al
perseguimento dell'obiettivo hanno  ingiustificatamente  penalizzato,
rispetto alla generale platea  dei  contribuenti,  la  categoria  dei
pensionati, in violazione del principio  della  "universalita'  della
imposizione". 
    Con la legge n. 147/2013  il  Legislatore  -  in  linea  con  gli
interventi di stabilizzazione finanziaria gia'  disposti  negli  anni
precedenti - ha da un lato reiterato, per il triennio 2014 - 2016, un
prelievo fiscale del 3% sui  redditi  superiori  ad  euro  300.000,00
(art. 1, comma 590, che proroga la disposizione  contenuta  nell'art.
2, D.L. n. 138/2011, convertito in legge n.  148/2011)  e  dall'altro
lato ha riproposto un drastico prelievo sui trattamenti previdenziali
eccedenti soglie reddittuali nettamente piu' basse. 
    Secondo  l'insegnamento  della  Corte  costituzionale   "...   la
Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme,  con
criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie
di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile  raccordo
con la capacita' contributiva, in un quadro di  sistema  informato  a
criteri  di  progressivita',  come   svolgimento   ulteriore,   nello
specifico campo tributario, del principio di  eguaglianza,  collegato
al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di
fatto alla liberta' ed eguaglianza dei  cittadini-persone  umane,  in
spirito di solidarieta' politica, economica e sociale (artt.  2  e  3
della Costituzione)" (sentenza n. 341/2000,  richiamata  puntualmente
dalla sentenza n. 116/2013). Con la  conseguenza  che  "Il  controllo
della Corte in ordine alla lesione dei principi di  cui  all'art.  53
Cost., come specificazione del fondamentale principio di  uguaglianza
di cui all'art. 3 Cost. non puo', quindi, che essere ricondotto ad un
«giudizio sull'uso ragionevole, o meno,  che  il  legislatore  stesso
abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia  tributaria,  al
fine di verificare la coerenza interna della  struttura  dell'imposta
con il suo presupposto economico,  come  pure  la  non  arbitrarieta'
dell'entita' dell'imposizione" (sentenza n. 111 del 1997,  richiamata
puntualmente dalla sentenza n. 116/2013). 
    L'irrazionalita' del  diverso  e  deteriore  trattamento  tra  la
platea dei cittadini e la piu' ristretta  platea  dei  pensionati  e'
stata chiaramente accertata dal Giudice delle leggi nella sentenza n.
116/2013,  a  mente  della  quale  "...  i  redditi   derivanti   dai
trattamenti pensionistici non hanno, per  questa  loro  origine,  una
natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi  a
riferimento, ai fini dell'osservanza dell'art. 53 Cost., il quale non
consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi  da
lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004,
n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il  nostro
ordinamento   riconosce    ai    trattamenti    pensionistici,    che
costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla,  il
perfezionamento  della  fattispecie  previdenziale   conseguente   ai
requisiti anagrafici e contributivi richiesti. 
    A fronte di  un  analogo  fondamento  impositivo,  dettato  dalla
necessita' di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il
legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari
di  trattamenti  pensionistici:  il  contributo  di  solidarieta'  si
applica su soglie inferiori e  con  aliquote  superiori,  mentre  per
tutti gli altri cittadini la misura e' ai redditi oltre 300.000  euro
lordi annui, con un'aliquota del 3 per cento, salva in questo caso la
deducibilita' dal reddito". 
    L'irrazionalita' dell'intervento e' stata inoltre  rimarcata  dal
Giudice delle leggi in ragione della natura di retribuzione differita
del trattamento,  pensionistico  "...  sicche'  il  maggior  prelievo
tributario rispetto ad altre  categorie  risulta  con  piu'  evidenza
discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai  consolidati
nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia'  rese  da
cittadini che hanno esaurito la loro  vita  lavorativa,  rispetto  ai
quali non  risulta  piu'  possibile  neppure  ridisegnare  sul  piano
sinallagmatico il rapporto di lavoro" (sentenza n. 116/2013). 
    Tanto  Premesso,  in  applicazione  dell'art.  23   della   Legge
costituzionale n. 87/1953, riservata ogni altra  decisione  all'esito
del giudizio innanzi alla  Corte  costituzionale,  il  Giudice  Unico
solleva l'incidente di  costituzionalita'  dell'art.  1,  comma  486,
legge n. 147/2013 con riferimento agli artt. 2, 3 e 53 Cost.  per  le
ragioni  che  precedono,  con  rimessione  degli  atti   alla   Corte
costituzionale.